Una sera d’inverno
Cammino pigro sulle pietre
della storia, contemplandomi attorno per non farmi privo del paesaggio.
Il vuoto che riempie lo spazio
durante questa stagione dei freddi è sicuramente usuale, ma non di rado accorda
corroboranti scenari.
Sul mio viso respirano zefiri,
e in un baleno impercettibile si plasmano reminiscenze vissute in caldura.
Chiudo gli occhi per
sopravvivere al violento gioco delle parti.
Non ho energie da prestare alla
fatica; non ho idee da mischiare tra le mie mani. Seguo in modo impercettibile
l’estenuante flusso delle immagini, correndo l’azzardo di essere schernito.
Quello che ha valore in questo
istante è non cedere definitivamente alle larghezze dell’amore.
Sul margine più apicale mi
identifico con l’osservare, e contengo ancora l’eccelso luogo delle mie
visioni.
Il sapore delle evasioni mi
recinge.
Non condivido l’estrema
richiesta e imperterrito mi lancio sugli effluvi di un varco epocale.
Percorrendolo fino in fondo non
si vedono colori, ma solo oscuri vuoti che mi riportano, fulminei, alla densa
realtà.