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mercoledì 8 gennaio 2020

Che se ci metto il sale la neve si scioglie…


Nuovo anno, tondotondo. Inizio di una nuova stagione. Momento fatidico: quello dei brividi che sento se penso a cosa vorrei in questi 365 giorni e del chissà cosa, invece, atterrerà. Questi cazzodibuonipropositi. Ormai è routine. Come dal fruttivendolo: vorrei un chilo di questo, mezzo chilo di quello e una manciata di quell’altro ancora. Ma 12 mesi dopo, inevitabilmente, ti accorgi di aver fatto la spesa sbagliata, in modo involontario, ma sbagliata. Vago leggero, ma vestito pesante. Sotto zero; aria cruda di alta quota. Anima fresca la mia, nata e cresciuta dentro al mare. Una commistione geografica che mi stupisce. 

Ecco, lo stupore. Che grande invenzione lo stupore. Spesso rimango stupito dallo stupore rappresentato da paesaggi all’orizzonte che non avevo mai guardato o dal ritornello di una canzone che non avevo mai sentito. Oppure, ed è ancora più sorprendente, lo stupore percepito davanti a due occhi che si parano di fronte ai miei, senza neanche averli cercati. Capelli nero corvino, viso che sorride anche se è posato, braccio teso con il nome scandito sulle punte delle dita. Giovane di quella gioventù da salti di gioia a prescindere. Sud che ritorna. Non troppo, ma sud. 

Caspita, questa situazione non l’avevo proprio considerata. E pensare che sono qui per respirare dopo tanta apnea. Sono qui perché è l’unico posto dove volevo stare. Sono qui perché andare in tutto il resto del mondo non mi interessava. Sono qui perché anche se parlo da solo mi ascoltano in molti. 

I primi dischi di una festa, un Gin Tonic con ghiaccio, come se non bastasse tutta la neve lì fuori; il tepore di questo posto pieno di vita. Lei balla un ballare semplice. La raggiungo e rimango immobile. Penso ai miei anni e credo che siano tanto distanti dai suoi. Penso anche che però nonmenefregauncazzo. Non ho la sindrome da pesce fuor d’acqua e soprattutto lavoro duro ogni giorno per combattere il suo possibile arrivo. Di contro, Peter Pan mi spiccia casa. Allora faccio due passi di danza di fronte a lei cercando di imitare Roberto Bolle. 

Atmosfera di quelle che se volevo deciderla a tavolino non mi veniva neanche se mi chiamavo Briatore. Il dj spinge con ritmi affini alla fauna. Seguo la scia guardando sempre gli argini. Lei è divertita e divertente. Sono sempre più stupito e credo che mi si legga in face. Like a ebete, quasi. Parlo e lei mi ascolta. Parla ed io l'ascolto. Gin Tonic a manetta, come fosse acquaferrarelle, che se non sto attento le dico ti amo in men che non si dica (cosa sorprendente per uno che lo ha detto forse mezza volta in vita sua, forse…). 

Sono le 3 di una notte che finirà nell'albo d’oro delle cose inaspettate. Uno scambio di battute e quelle tracce lasciate per cercarci. Scivolo via, appositamente, con nonchalance. Lo faccio perché non posso sciupare l'attimo con considerazioni banali sul cosa sarà e altre traiettorie che solodiosà.  

Esco fuori guardandola come Jerry Calà guardava Marina Suma (alla quale assomiglia tremendamente) nello storico finale di "Sapore di mare", consapevole del fatto che prima di stanotte lei non c’era, ora c'è e che se ci metto il sale la neve si scioglie.