Domenica mattina
grigio chiara. Il festival è finito da poche ore. Abbiamo bruciato ancora una
volta sette giorni di delirio. Lascio il dormiente appartamento. Bacio qualcuno
con gli occhi. Lo stomaco si chiude. Vado veloce verso le rotaie. La valigia mi
ricorda la partenza, ma anche l’arrivo. Non vado a casa, si balla ancora.
Salgo
sul treno insieme al mondo intero. Postofisso. La scopro di fianco. Semplice,
leggera, cortese. Scrive numeri. Siedo e mi nascondo dietro ai miei Marc Jacobs.
Ripasso a mente il tragitto. Milano, exchange e poi tuttodunfiato Pescara. Mezza Italia e sono
pervaso da euforia. Non è lavoro è vita! Chiamano dalla radio, sono in
diretta. Musica, parole, finale. Torno
al mio sedile. Mangia uno snack con un garbo comune solo ad alcune donne. Mi
chiede se ne voglio. Misuro bene il mio rifiuto. Non chiudo ad una sua
apertura. Bella, di una bellezza certificata, mi chiede chi sono. Rispondo che
sono un tipo ammaliato da tutto quello che gli si para intorno. Al finestrino
scorrono veloci le istantanee. Giochiamo a città, lavoro, età. Preliminari di
un incontro che non aveva un indice. Fisso lo sguardo sui suoi capelli biondo
vero (una mia vecchia fissazione). Non
prova imbarazzo. Racconta il suo pezzo di vita. Con tutto il volto rimango intenso
sul suo, mentre con la mente razionalizzo la verità. Un tempo fa mi sarei perso
dentro di lei seduta stante. Un tempo fa avrei pensato di continuare il viaggio
fino a sotto casa sua. Adesso, mutuato dall'entusiasmo di una vita casuale e da
un magone corroborante, coglievo quella scena con una consapevole naturalezza.
Non è questione di maturità. In certe cose la saggezza solitamente se c’è, anche
alla mia età, senevaffanculo. Scompare. Si scioglie nel su e giù della
casistica. Ma non è più così, soprattutto dopo gli ultimi roghi.
Non si arrende. So
tutto di lei senza proporre uno spunto. Sulle miei lenti si appiccicano come
ventose i suoi occhi azzurri. Ancora parole. So tutto di lei, senza battere
colpo. Lavoro francese, nido veneto, amore andato. Un giorno normale, in un
modo veloce, mi dice. Scappato davanti al peso delle responsabilità. Perfettamente
in linea con i tempi. Nonostante riporti a galla il veleno, evidentemente stipato
nei gavoni, non cede di un millimetro. Dopo due mosse ho capito infatti che la
caparbietà aveva edificato un villino dentro di lei. Sorride masticando, naturalmente,
ancorasale. E tu? Io in quel senso mi sono perso, le dico. Credo di non aver
mai amato. Boom! Un fendente. Appuntisce lo sguardo. Vuole dettagli. Non riesco
mai a codificare quello che mi accade. Ne prima, ne durante e ne dopo. Decido con
indecisione. Consumo il presente e non giustifico la costruzione di un “due”. Le
confermo la mia “tesi” usando la proverbiale prova provata. Altare, foto
cancellate e tanti saluti: un anno e poi cenere. Non batte ciglio. Quasi
marmo. Conosce questa via, conto terzi, ma sa. Ed ora? Fluttuo, le dico. Non
saprei spiegarlo meglio. Mi faccio portare dal vento controllando attentamente le
vele. Prendo passaggi solo per cercare emozioni. Insomma assecondo le possibilità.
E tu? Mi relaziono con il mondo, risponde, come non avevo mai fatto. Lavoro,
studio, bevo.
Milano. Raccoglie le
cose e raggiunge la fila. Io aspetto. La mia coincidenza è lontana. Ora siamo
distanti diversi palmi. Si gira di scatto e concede ai suoi occhi uno sguardo
poco allineato con le sue cementificate certezze. Intuisco e faccio spallucce,
foriere di un percettibile: è andata così! Per un lunghissimo minuto abbassa e
rialza lo sguardo verso di me ad un ritmo quasi psichedelico. Porte aperte. Scorre
la fila trainando il trolley e prima di uscire dal mio fuori fuoco lancia un
ultimo battito. Rimango dritto sul mio posto assecondando tutto quello che
passa il convento e pensando a come sia stato commovente, anche solo per poco
tempo, essere stati noi due soli lì, appoggiati al mondo.