Trova

martedì 31 marzo 2020

Noi due soli, appoggiati al mondo


Domenica mattina grigio chiara. Il festival è finito da poche ore. Abbiamo bruciato ancora una volta sette giorni di delirio. Lascio il dormiente appartamento. Bacio qualcuno con gli occhi. Lo stomaco si chiude. Vado veloce verso le rotaie. La valigia mi ricorda la partenza, ma anche l’arrivo. Non vado a casa, si balla ancora. 

Salgo sul treno insieme al mondo intero. Postofisso. La scopro di fianco. Semplice, leggera, cortese. Scrive numeri. Siedo e mi nascondo dietro ai miei Marc Jacobs. Ripasso a mente il tragitto. Milano, exchange e poi tuttodunfiato Pescara. Mezza Italia e sono pervaso da euforia. Non è lavoro è vita! Chiamano dalla radio, sono in diretta.  Musica, parole, finale. Torno al mio sedile. Mangia uno snack con un garbo comune solo ad alcune donne. Mi chiede se ne voglio. Misuro bene il mio rifiuto. Non chiudo ad una sua apertura. Bella, di una bellezza certificata, mi chiede chi sono. Rispondo che sono un tipo ammaliato da tutto quello che gli si para intorno. Al finestrino scorrono veloci le istantanee. Giochiamo a città, lavoro, età. Preliminari di un incontro che non aveva un indice. Fisso lo sguardo sui suoi capelli biondo vero (una mia vecchia fissazione).  Non prova imbarazzo. Racconta il suo pezzo di vita. Con tutto il volto rimango intenso sul suo, mentre con la mente razionalizzo la verità. Un tempo fa mi sarei perso dentro di lei seduta stante. Un tempo fa avrei pensato di continuare il viaggio fino a sotto casa sua. Adesso, mutuato dall'entusiasmo di una vita casuale e da un magone corroborante, coglievo quella scena con una consapevole naturalezza. Non è questione di maturità. In certe cose la saggezza solitamente se c’è, anche alla mia età, senevaffanculo. Scompare. Si scioglie nel su e giù della casistica. Ma non è più così, soprattutto dopo gli ultimi roghi.

Non si arrende. So tutto di lei senza proporre uno spunto. Sulle miei lenti si appiccicano come ventose i suoi occhi azzurri. Ancora parole. So tutto di lei, senza battere colpo. Lavoro francese, nido veneto, amore andato. Un giorno normale, in un modo veloce, mi dice. Scappato davanti al peso delle responsabilità. Perfettamente in linea con i tempi. Nonostante riporti a galla il veleno, evidentemente stipato nei gavoni, non cede di un millimetro. Dopo due mosse ho capito infatti che la caparbietà aveva edificato un villino dentro di lei. Sorride masticando, naturalmente, ancorasale. E tu? Io in quel senso mi sono perso, le dico. Credo di non aver mai amato. Boom! Un fendente. Appuntisce lo sguardo. Vuole dettagli. Non riesco mai a codificare quello che mi accade. Ne prima, ne durante e ne dopo. Decido con indecisione. Consumo il presente e non giustifico la costruzione di un “due”. Le confermo la mia “tesi” usando la proverbiale prova provata. Altare, foto cancellate e tanti saluti: un anno e poi cenere. Non batte ciglio. Quasi marmo. Conosce questa via, conto terzi, ma sa. Ed ora? Fluttuo, le dico. Non saprei spiegarlo meglio. Mi faccio portare dal vento controllando attentamente le vele. Prendo passaggi solo per cercare emozioni. Insomma assecondo le possibilità. E tu? Mi relaziono con il mondo, risponde, come non avevo mai fatto. Lavoro, studio, bevo. 

Milano. Raccoglie le cose e raggiunge la fila. Io aspetto. La mia coincidenza è lontana. Ora siamo distanti diversi palmi. Si gira di scatto e concede ai suoi occhi uno sguardo poco allineato con le sue cementificate certezze. Intuisco e faccio spallucce, foriere di un percettibile: è andata così! Per un lunghissimo minuto abbassa e rialza lo sguardo verso di me ad un ritmo quasi psichedelico. Porte aperte. Scorre la fila trainando il trolley e prima di uscire dal mio fuori fuoco lancia un ultimo battito. Rimango dritto sul mio posto assecondando tutto quello che passa il convento e pensando a come sia stato commovente, anche solo per poco tempo, essere stati noi due soli lì, appoggiati al mondo.  


martedì 24 marzo 2020

Io resto!

In questi giorni mi è stato chiesto il perché non me ne sia andato a Sperlonga dove c’è la mia vera casa, dove c’è la mia famiglia (dove “l’aria” è sicuramente meno pesante). Ma io vivo da dieci anni a Fondi. Il mio lavoro è anche qui. La mia vita, almeno per il momento, non può prescindere da questo luogo e da questa gente. Non ho mai pensato di mettermi al riparo diversamente, da quando questa peste è arrivata, ne i miei genitori, che ringrazio, mi hanno forzato a farlo. Ho pensato che quello che in questo momento rappresenta il mio nido, e ciò che lo circonda, va preservato in qualsiasi modo. Ho pensato in pochi secondi che una luce accesa in più, tra i vicoli di questa città sotto assedio, voglia dire speranza, fiducia, futuro. Non andrà tutto bene, CE LA FAREMO, che è diverso.