Quella sottile, impalpabile sensazione di aver fatto ciò che era giusto, di averci messo il possibile – o almeno ciò che credevo tale.
Cammino tra viuzze che, nei giorni passati, mi hanno visto scomposto, ruvido, trafitto dall’ansia; oggi, invece, mi osservano silenziosamente fiero, quasi devoto. So che questo stato d’animo può essere duro come il ferro, e nello stesso tempo lieve come una piuma.
Cammino, accompagnato da creature a quattro zampe che, con la loro presenza, mi stimolano e mi sostengono.
Ricordo l’amarezza, e poi la riscossa. Ricordo parole che mi ferirono e che cerco di dimenticare; mi sforzo di celare quei pensieri che ancora bussano alle porte della mente. D’altronde, soltanto i folli – e la mia stima va a loro – sanno veramente dimenticare. O forse non ci riescono affatto, ed è per questo che vivono oltre noi. Ma noi chi, poi?
Intanto quattro gocce di pioggia si disperdono tutt’intorno, liberando nell’aria il profumo dell’autunno, un profumo che il sole aveva fin qui soffocato. Ci vuole anche questo: il richiamo della natura, che insiste a farsi sentire mentre noi, ostinati, non prestiamo ascolto.
Spesso giustifico la nostra sordità con il peso di questa vita, dolce o amara che sia, che ci trascina ogni giorno dentro un labirinto di domande senza risposte. E tuttavia quelle domande ci impongono di pensare, agire, rimediare, soffrire. Un lavoro quotidiano che logora, che per alcuni si tramuta in tormento e per altri in nulla.
Apparteniamo a questa epoca, o forse siamo solo ospiti effimeri di un tempo sovraccarico: anni che traboccano di paradossi, ironie crudeli, opportunismi, follie, condizioni amare. Tutto, senza eccezione, ne è impregnato. E spesso, nel cercare una radice, attribuisco colpe – forse troppe – al Sessantotto. È come se riversassi lì l’origine di tanti fallimenti, politica inclusa. Un ’68 che non risolse nulla, che anzi lasciò cicatrici profonde, segnando negativamente un’intera generazione.
Che cosa ci resta, allora, di quegli anni estremi di rivolta? Confusione, ideologie effimere, posture ormai scadute e tuttavia ancora ripetute, fuori tempo massimo.
Ma il pensiero è lungo, e mi accompagnerà ancora.
Lo conserverò per una prossima foto.
