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venerdì 7 febbraio 2014

L'insostenibile leggerezza da Domopak

 
Un enorme ed ecumenico limbo. La mia impressione è proprio questa. Un contenitore nel quale stiamo vivendo come se fossimo 'congelati'. Abbiamo sì la facoltà di respirare, camminare, mangiare, ma tutto questo come se ci muovessimo alla moviola. Lentezza, inerzia, indolenza. In questo panorama, evidentemente scevro di emozioni, sensazioni, passioni, ci siamo bruciati anche gli ultimi barlumi di un già precario ecosistema: quello del sentimento nudo e crudo. In questo esatto momento non sappiano più neanche che odore abbia. Ricordate le farfalle? Da quanto tempo non ne vedete più volare una? E soprattutto, da quanto tempo non vi mormora più lo stomaco?
 
Scivoliamo questi giorni strisciandoci lungo i muri dei ricordi e dei desideri inascoltati. Una mescola di pensieri e parole che ci permettono solo di 'vegetare'. Respiriamo quelle ore che ci separano dal sonno, che in taluni casi non è neanche più profondo, con difficoltà e apatia. Combattiamo il ticchettio dell'orologio pensando a come sarebbe stato bello se... Intere albe ed interi tramonti buttati in pasto alla nostalgia. Addirittura si arriva a rivalutare un amore adolescenziale. Preistoria oramai, eppure! Una foto di spiagge passate ci riporta ad alcune percezione che non credevamo più di avere. Quel brivido spontaneo ci accarezza e più veloce della luce svanisce. Neanche il tempo di goderlo. Neanche il tempo di morirgli dietro. Un audio cassetta emerge dagli oggetti che pensavamo smarriti. Sul nastro cantano frasi che in quell'esatto momento di vent'anni prima erano il manifesto delle nostre volontà.
Oggi, per i masochisti di turno, ben che vada, ci sono le frasi dei libri di fabiovolo.

Tramortiti da queste stupide azioni, come imbalsamati, siamo capaci anche di negarle pietosamente tutte. Nei piccoli passi, che non senza sforzo riusciamo a fare, veniamo inghiottiti dalle nostre stesse bugie. Per (non) quiete vivere rispediamo al mittente anche sguardi che certificano importanza. Successivamente, resi immobili dal pensiero che ci assale greve, e affibbiandoci demenza pura, ci accorgiamo di aver visto e vissuto quello skyline già innumerevoli volte. Questo è il segno chiaro e indelebile che siamo dolorosamente oggetto di un emorragia costante e rapida. Uscendo dai tornanti tutte le volte abbiamo pregato qualsiasi Dio per ritornare a respirare senza additivi.
 
Comodamente genuflessi alla provvidenza abbiamo lasciato cadere anche l'ultima goccia di pioggia fresca, che però non ha lavato la nostra pelle, non ha purificato la nostra anima e tanto meno è stata foriera di nuovi raggi di sole.

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