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lunedì 21 settembre 2015

Una!

Per correre, tenere il passo, inseguire insomma, c’è bisogno di fiato. Poi c’è anche il risvolto della medaglia di chi non vuole correre, non vuole stare al passo, non vuole inseguire, nonostante ne abbia da vendere. Sicuramente una mediazione tra le due condizioni è possibile. Si può stare fermi con il naso puntato in aria. Trattenere il respiro, respingere quegli occhi che pretendono di bagnarsi in totale autonomia. 

Si fa un gran parlare e scrivere di limiti, confini, e cuori che non si spingono oltre. 'Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi'. Questa ed altre sentenze vengono comprate un tot al chilo. Un gioco sadico che non solo annienta il presente, ma rovina gli autunni della nostra vita. E’ non sarà il freddo a provocare sollievo. 

Un giorno, più giorni e poi oblio. Sarà quell'isola del mediterraneo, o la perla del tirreno, e quelle foto scattate alla moviola. Se non va bene la rifacciamo. Magari si potesse ri-scattare una porzione di tempo. Per un attimo e non di più, un rewind delle scene da tagliare, quelle da rifare, e le parole da misurare anche se gridate al vento. 

Risolvere le andate e i ritorni nella terra dell’incomunicabilità. Ma poi, durante le ore di sonno sveglio arrovellarsi lo stomaco per spingere l’asticella delle altrui volontà sempre più su. Non è vivere, non è sorridere, ma è schianto. Per una volta, solo per una volta, attraversate la strada bloccando il traffico e bussate a quella smaniante porta: “Scendi, sono una vita sola e voglio dividermi con te”.

Coccoluto in me!

In bilico tra il buio del mare e il cielo spianato di stelle, abbiamo visto rialzarsi ogni certezza vana. Quel suono che arrivava dal futuro, dal passato e di nuovo futuro. Un gioco imponente di cultura che trasmette cultura. 

Potremmo usare le solite parole: emozioni, suggestioni, brividi a profusione. Ma questa è scrittura da parvenu, noi siamo frutto di qualcosa che non ha sembianze, ma rivive nelle nostre attitudini. Mille miglia fa non avremmo mai pensato di colmare l’inconsueto, di trovare ancora originalità. 

Diciamoci la verità: chi può permettersi di definirsi atipico, oggi? Una notte come tutte le altre si è palesata poi come l’unica possibile. Due giradischi, una consumata borsa di vinili, una cuffia per la vita, e che vita! Sorvolando ogni tipo di destinazione, pur stando fermi immobili sul mediterraneo, abbiamo visto e sentito cose che difficilmente trovano parola nei racconti. 

Grazie Claudio, Grazie.

1971

Oggi, proprio oggi, non servono parole, non serve tormento, ma solo sogno. Il destino di chi nasce col caldo e la sabbia nelle scarpe. Ma “io musico ambulante vorrei stare in cento case o in un motel”.

Non ho mai carpito la tristezza nuda e cruda, ma credo eternamente a quella corroborante. Quegli attimi di pelle alta due metri che pure se tornano alla mente ambulatori di sentimenti trovo ricovero nelle cose più banali, ma per banali che siano sono lì, dietro alle mie spalle, davanti ai miei pensieri. “Sì, non ci si può fidare di uno che vivrebbe bene in un motel”. 


Di corsa, come sempre da una vita. Senza badare al fiato che manca, alle persone che ti si parano davanti. Poi, come semplice arrivo, l’idea mai definita di approssimazione. “Via, mentre sto parlando tu sei già lontana, è passato il vento e non ci sei più, forse ti vedrò volare sullo stesso mare”. 


Se non oggi, quando? Che per quanto non me ne importi dentro a questo sangue scorre il rosso di quella notte del settantuno; che per quanto non me ne importi dentro questo sangue scorre la vita vissuta biasimando la responsabilità. Sempre in bilico tra gli umori del passato e la non curanza di domani. “Parli ma non sento, c'è ancora troppo vento, non c'è niente di fermo, di certo, e nemmeno tu”.

sabato 5 settembre 2015

Io sono qui!

Sono rimasto quattro corte/lunghe ore in piedi, appoggiato al telaio della finestra del balcone. Davanti solo il muro color giallosmarrito del palazzo di fronte. Senza sapere come, pur  trovando mille motivazioni, ero in attesa di alcunché, che evidentemente non sarebbe mai arrivato. La sensazione postuma di fare qualcosa di insensato per più del dovuto mi ha sfiorato la mente e poi si è distrutta vana sul marciapiede di sotto. Ad ogni tocco godevo dell’idea, cementatasi in fatto, che ero lì da tempo senza aver arcato nemmeno un sopraciglio. 

Ero in piedi, ma disteso sui pensieri già passati. Ho così ripescato attimi che credevo letteralmente sotterrati. Paure, incredulità, testamenti. Non lo so se si trattava di solitudine. Passavano persone, cose, animali, t e m p o. Inesorabile ero lì, dritto come un vestito steso. Fluttuavo tra l’idea di cosa avrei fatto senza amore e cosa avrei fatto per amore. Ma anche se mi arrivavano risposte dall'inconscio, come si fa a bollare per sicure delle invisibili vibrazioni? Come si fa a sottoscrivere certezze dopo aver visto e sentito montagne di cenere? 

Era ottobre, i primi giorni del mese. C’era quel soffio  unico ed indescrivibile. Io, vestito di poco, non muovevo la spalla dall'infisso. Gli occhi non lasciavano andare i dintorni. Fermo immagine di me stesso, senza sapere quando sarebbe arrivata l’ora dei saluti. In questo concerto di stupori mi arrovellavo le corde dell’anima per un fascio di luce. Anche questo è passione. Miracolosamente fuggivo dalla timidezza e mi impuntavo sul valore del presente. Ma l’azione, unica vera chimera, passa attraverso una inesorabile quota di coraggio. 

Incomunicabilità e temerarietà: scopro non piacevolmente che vanno di pari passo. Saper fuggire dal dubbio dello scontro per poi lanciarsi a capofitto. Non è più teoria, è utilità. Le rarissime volte che ho oltrepassato la cortina è stato con inganno. Sono pezzi di vita che mi sono costati pugni di carezze. 

Mi sorprendevo così della attitudine di lei di voler sfidare il mondo sempre e comunque. Non fermavo il montaggio mentale dei desideri. Riscoprire dopo tanta generazione di voler soffrire ancora non è bestemmia, è follia! D'altronde una vita che resta appesa sul marmo non  può per niente al mondo definirsi usuale.  Non sapevo nemmeno che ore erano. Non volevo interrompere il viaggio pur stando fermoimmobile. 

Carico di niente miravo agli occhi. Carico di niente mi esaltavo del vuoto. Non c’era lei, non ci sarebbe stata, ed io avevo solo voglia di stare lì! Se pensate per metafore è presto fatto. Per stringersi a perdifiato c’è bisogno di sgomitare. Un pezzetto fragile di nanosecondo. Un prendere respiro, chiudere gli occhi e gridare a squarciagola: i o s o n o q u i. 

Antonio Di Trento