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giovedì 20 febbraio 2025

Fateci caso, vi prego!


 
Fateci caso, vi prego, quando il silenzio vi è finalmente d’aiuto per tutto quello che avete sentito, per tutto quello che avete sopportato. Quando le parole si fanno enciclopedie e le voci corrono più della luce. Fateci caso, vi prego, quando l’aria non è quella della stagione che vivete, ma quella di un posto indefinito nel mondo. 

Fateci caso, vi prego, a come le cose si moltiplicano, mentre noi siamo appena preparati per approdare solo su una di esse. Così si complicano gli attimi e il normale svolgimento della vita diventa fatica. Basti pensare che, versando poca acredine, il tempo, per primo, ce ne sarebbe grato. Invece no. Testardi noi, peggio ancora il nostro istinto. 

Fateci caso, vi prego. All’armonia tra i visi, che non si scambiano più sorrisi. All’orgoglio che ha decapitato sentimenti, amori e pentimenti. Alle corse fatte per arrivare primi, ma dopo il traguardo piangere, perché siamo e saremo terribilmente soli. 

Verrà un’altra ESTATE e, vi prego, fateci caso. Avremo sempre quell’aura di chi non vuole appassire, non vuole scomparire, ma sentirsi sempre e indistintamente quelli del sale sulla pelle, della musica tuttaintorno e della notte che non DEVE finire mai.

lunedì 18 novembre 2024

Soppressioni di novembre

Spingi forte. Cosa? Pensa forte, quasi violentemente. Tieniti stretto al parapetto, non farti ammaliare dalle richieste che arrivano da giù, da sotto. Se cadi, ti rialzi sì, ma non sempre sulle tue gambe. Respira forte, anche controvento.

Lascia fuori le tossine sbagliate, quelle scadute, proprio quelle. Stabilisci un contatto con il marziano che vive dentro di te e che ripetutamente ti dice cosa devi fare. Cosa non fare, invece? Placa la pesantezza, media con la leggerezza e con la superficialità che non manca mai sui marciapiedi. Gestisci l’inganno e carica l’obiettivo.

Passa le giornate edificando cemento e non ragnatele. Cerca di trasferire la ragionevolezza insita in tutte le persone dotate di comprensione e, quindi, si spera anche in te, nelle cose da fare e da rifare. Capisci quando è il momento di farti scivolare addosso anche le parole più grasse dell'alfabeto del rancore.

 

Agisci dopo aver deglutito e non prima di aver ricevuto il colpo. Riguarda il film mandando il nastro avanti e indietro, se necessario, come un ossesso. Fermati prima della fine, perché dopo la fine non c’è neanche più l’oblio, c’è il non ritorno. 

giovedì 7 novembre 2024

In morte di Q



Quincy Jones aveva 91 anni e, a parte quelli dell’infanzia, li ha trascorsi tutti con le note in mano. Quincy Jones era, indubbiamente, un genio. A Chicago, il padre gli regala una tromba e lui, a scuola, impara a suonarla. A Seattle, alto poco più di un tavolo, conosce Ray Charles: suonano di giorno e di notte, piano e tromba, tromba e piano. Cuciono e scuciono partiture. Chissà se qualcuno ha mai profetizzato cosa sarebbero diventati. A 18 anni potrebbe studiare al Berklee College of Music di Boston, ma la musica da suonare prende il sopravvento su quella da studiare, e parte in tournée con un certo Lionel Hampton. Quattro anni di su e giù, durante i quali scopre di avere una particolare propensione per comporre e arrangiare canzoni. Si ferma a New York e, come una macchina rotativa, arrangia dischi per Count Basie, Sarah Vaughan, e Dinah Washington. Non ne sbaglia una. Non ne sbaglierà una!

 

Se prima voleva solo suonare, ora sa che deve studiare. A Parigi è tempo di teoria e composizione musicale, ma anche di collaborazioni con Henri Salvador, Charles Aznavour e Jacques Brel. Bravo con le note, meno con i numeri, torna a New York in difficoltà economiche. Frank Sinatra, Barbra Streisand e Tony Bennett si affidano a lui. Hollywood chiama, e Q risponde. A Los Angeles realizza colonne sonore su colonne sonore. Momento topico: la sua creatività lievita, diventando “qualcosa” che va oltre. Oltre la circoscrizione dei generi musicali, oltre il pensiero produttivo dominante e limitante. OLTRE. Con finta incoscienza e fare certosino, elabora tutto il suo vissuto sonoro fino a quel momento: lo shakera, lo mescola, lo dosa, lo dilata. Nel ’74, il primo di una serie di pit stop: aneurisma cerebrale. Ma se nasci genio, non puoi durare poco. Gli è vietato suonare la tromba, ma non realizzare capolavori. Ed ecco Off the Wall di Michael Jackson: 30 milioni di copie vendute. Quincy Jones diventa di fatto il più potente produttore musicale al mondo. Orecchio teso in cuffia. Rimescola, rimugina, ruba futuro, ma per farne presente musicale. E ancora record: Thriller, 110 milioni di copie. Ancora oggi, il più venduto di sempre. Ancora oggi non c’è possibilità per nessuno di farne altre o diverse riletture di quelle partiture: sono righe zeppe di ispirazioni che non lasciano spazio all’improvvisazione.

 

Ovviamente, in questi anni non produce solo per gli altri, ma anche molto per sé. Nascono così veri e propri capolavori senza tempo, tra cui spicca The Dude. E poi ancora collaborazioni, tante, troppe da ricordare e impossibili da elencare. Piovono successi, piovono Grammy, piovono matrimoni. Nel 1985, forte della sua grande influenza nel mondo della musica, con l’aiuto di Michael Jackson, raduna molti dei maggiori artisti americani. In una sola notte realizzano un sogno, quasi un’utopia: We Are the World, una canzone nata per raccogliere fondi per le vittime delle carestie in Africa. Un episodio che non si ripeterà più, ma che stupì e commosse letteralmente tutto il mondo. Produzioni e ancora produzioni, un lavoro continuo e incessante: Aretha Franklin, Chaka Khan, George Benson, Donna Summer, sempre e solo per citarne alcuni. Tutte hit, nessun out. Gli ingredienti possono anche essere gli stessi, ma sono i dosaggi e il tocco magico che contano, e Q sa bene come fare; d’altronde, è un genio.

Inoltre, sia la sua biografia che il documentario girato da una delle figlie, disponibile su Netflix, sono un manifesto su carta e pellicola di quello che è stato il suo incessante e straordinario lavoro: un lavoro che sopravviverà al tempo e che ha ispirato e ispirerà generazioni di artisti. 


È vero, Q è morto, ma solo fisicamente!

mercoledì 11 settembre 2024

Settembre paraculo



Minaccia il tempo fuori, minaccia l'istinto dentro, il resto lo sa solo Dio. Settembre via di mezzo, nemico a prescindere! Occhi fissi in cerca di risposte mute ad esclamativi brutta copia di interrogativi. Arancione, poi giallo, poi rosa, poi… poi! Tramonti a ovest, per i daltonici, una visione indefinita. Post-it: cercare pensieri in affitto, apnee mai respirate, frasi dissipate. Settembre, quel rumore stordito riprende fiato: la musica è finita, sparpagliatevi. Post-it: perdere pezzi di carta mai scritti, mutamenti mai partoriti, pretesti brindati con acqua salata. Colpiscono in faccia, come i pugni di un pugile, tutte le questioni rispedite a un mittente sconosciuto: il destino. Ecco il calcolo matematico: mentire + immaginare + credere = scivola la vita, e non si può fare altro che scivolare!

mercoledì 22 dicembre 2021

Non siete fortuna, siete destino




La magia dell’incontro, due anime che si guardano; scorrono veloci le immagini della vostra storia. Fino a qui, fino ad oggi, dove l'insicurezza di Carmelina si abbandona alla risolutezza di Domenico, dove la flemma di Domenico si nutre dell’energia di Carmelina, ed è unione. L’isola verde come cupido, questa città come nuovo inizio. Un fiume in piena che cancella ogni piccolo timore; un vento caldo che scuote le vostre anime perse nell’oblio. Finalmente il sorriso dei giorni più chiari, il cuore colmo di gioia e noi spettatori felici. Non servono anni, mesi e giorni: servono attimi. Sono gli attimi nascosti nella sabbia di Sant’Angelo; sono gli attimi che riempivano i vostri sguardi quella sera d’estate; sono gli attimi che hanno conservato il NOI nonostante il frastuono attorno; sono gli attimi che danno il senso ai momenti, ai discorsi, alla pelle. Che bello deve essere stato incontrarsi e dirsi, senza spargere voce: eccoci, siamo un corpo solo fatto di piccole e grandi cose, di lacrime e sorrisi, di silenzi ed esortazioni, di colori e chiaroscuri, di respiri e affanni, e questo lo siamo e lo saremo fino a tutta la vita che c’è!


Carmelina e Domenico sposi, Fondi ottobre 2021

domenica 4 aprile 2021

Non siamo altro che destino

 


Dispersi, come dopo uno schianto! Col coraggio dei giorni più giovani cerchiamo temerari oltre la fine dei nostri limiti. L’oppressione dell’ordine precostituito: asciugare le lacrime fissando il muro.  Soffitti di cartone ci intimano di arrenderci. Chi ha fiato da gridare è rimasto, chi aveva l’animo scosso è crollato! Incedere senza meta stando fermi e poi spiragli di niente che sembrano il tutto! Voci nuove, nomi sconosciuti, parole ferventi e leggere, intrepide e frivole, istruite e fatue. Noi spaventati e fragili che incediamo al buio, ma con l’inconscio che ci indica il transito. Scoperta oppure suggestione di essa? Tant’è che s’intravedono percezioni.  Gli occhi raffermano colori e la testa sceglie chi siamo. Capelli, corpi e stati d’animo. Scambiamo conoscenza come al ping pong. Fuori ci dicono folli, ma è qualunquismo da competizione al quale volgiamo l’altra guancia. Esistiamo, ora esistiamo, davanti alle nostre paure, dietro ai nostri errori, di fianco alla caparbietà di non perdere il filo e ritrovarci ancora una volta pieni di nulla e negati all’affetto, spezzati dalla passione, delusi dall’effimero. Ora, più di mai, bramiamo essere nudi ancora prima di spogliarci e partecipare così al gioco utile della consapevolezza. Siamo in viaggio con quelli come noi trovati un giorno per caso nel bel mezzo della nebbia che soffocava i nostri cuori. E tutto questo senza chiederlo a DIO. 


sabato 13 febbraio 2021

Two solitudes


 

Avevo tagliato e ritagliato i pensieri per farli diventare altro da loro, giocando al comodo e scomodo delle conseguenze. Spingevo le azioni controvento mentendo a me stesso sulle opportunità in caso di spiragli di aria. Pezzetti di puzzle che corrispondevano al vero mi sedavano da slanci di euforia gratuita. Tentavo invano ogni tipo di approccio con la sua sagoma che voleva palesemente scivolare via. Era un’agonia risolta solo dalla luce del giorno che mi colpiva in faccia contestandomi l’oblio. Il ticchettio dell’orologio continuava a essere impietoso nonostante la mia evidente necessità di capire. Niente. I silenzi erano saliva amara da ingoiare. E allora ricominciavo con le manovre di attracco, salendo e scendendo la scala delle probabilità. Dopo aver camminato cieli di qualsiasi definizione di colore sono arrivato al mesto capolinea strappandole sillabe che tratteneva nelle punte dei capelli. Una fatica immane e, oltremodo, brutale. La sua verità, o costruita parvenza, sanciva l'uscita di scena. Conta dei danni. C’avevo lasciato l’anima! Punto e a capo. Quelle che potevano essere vite intrecciate s’irrigidivano in due, definitive, solitudini.

“Ma il tuo corpo ricorderà ciò che la tua mente impara a dimenticare”